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21 April 2008

Guida all'acquisto dell'usato: Ducati 916

Per una volta, nella “Guida all’acquisto” trattiamo di una moto non recentissima, che tuttavia ha sempre un gran fascino. Con ciò non si fatica a capire perchè quando la Ducati 916 viene svelata al Salone di Milano del 1993 si assiste a scene viste solo ad un concerto dei Beatles...

Un lampo rosso

 

 


UN LAMPO ROSSO Per una volta, nel nostro abituale appuntamento con la “Guida all’acquisto” abbiamo deciso di parlare non di una delle regine del mercato dell’ultima ora, facilmente disponibile, nuova o usata, dal concessionario o da un privato. Tratteremo invece di una moto moderna ma non recentissima, che tuttavia non sfigura accanto alla più tecnologica “belva” del 2008. Con ciò non si fatica a capire perchè quando la Ducati 916 viene svelata al Salone di Milano del 1993 si assiste a scene viste solo ad un concerto dei Beatles di trent’anni prima: basta guardarla. Ancora oggi, a 15 anni da quella fatidica prémiere, incontrarne una per strada provoca la stessa forte emozione. Ed è chiaro perchè si meritò il titolo di “Moto dell’anno 1994”.

Un lampo rosso, un ruggito possente che fa girare la testa, non per maledire l’inopportuno fracassone, ma perchè il rombo di questa Ducati è rimasto nel cuore e nelle orecchie di chi allora la sognava, ma doveva arrestarsi di fronte ad un prezzo da fuoriserie... a quattro ruote. Tornando a quei primi anni Novanta, e precisamente al 1994 quando la Ducati 916 si rende disponibile dai concessionari, sono necessari oltre 25 milioni delle nostre vecchie lire per acquistare un esemplare. Con molto meno si comprano le supersportive giapponesi a 4 cilindri Honda CBR900RR (20.095.000 lire), Kawasaki ZZR 1100 (23.260.000 lire), Yamaha FZR 1000 (20.449.000 lire) ed anche la potentissima Suzuki GSX-R 1100 W (20.688.000 lire) che dall’alto dei suoi 155 CV a 10.000 giri ha il primato sulla concorrenza. Ma la 916 è un’altra cosa. Non è insomma solo una questione prestazionale, perché tutte le moto citate, più potenti e meno costose, raggiungono velocità parecchio superiori.

Chi la sceglie vuole un oggetto dal sapore quasi artigianale, una ‘special’, come si diceva una volta, o probabilmente vi intravvede una vera replica da corsa, ed in questo ha poche altre opzioni. Forse la sola Honda RC45, e ancora prima la RC30, è in grado di suscitare le stesse sensazioni del ‘pompone’ italiano, e proprio per questo, al primo idilio tra Motociclismo e la 916, è invitata in qualità di gradito terzo incomodo appunto una spettacolare RC45. Un confronto, anzi un “mezzogiorno di fuoco”, come titola l’articolo sul numero di febbraio 1994, in cui le due contendenti non risparmiano stoccate e parate, e che termina sostanzialmente in parità.

 

 

Precedente illustre

 

 


PRECEDENTE ILLUSTRE Ma come è riuscita una Casa tutto sommato di dimensioni modeste come la Ducati a produrre quello che per la concorrenza presto si rivela, in pista e su strada, un vero incubo rosso? La storia parte da un illustre precedente: la Ducati 888 che nel 1991 va a sostituire la già vittoriosa 851 nel Campionato mondiale SBK. Una moto che con Doug Polen si afferma per ben due stagioni consecutive. La 888 era poi stata messa in commercio per gli appassionati di moto iper-sportive ottenendo un buon successo.

Ma alla fine degli anni Ottanta la pur attraente 888 iniziava a denunciare il peso degli anni. L’ingegner Bordi, capo progetto del Gruppo Cagiva di cui la Ducati fa parte in quegli anni, incontra Massimo Tamburini che è l’indiscusso signore della CRC (Centro Ricerche Cagiva) di Rimini dove nascono le moto da corsa. L’obiettivo è chiaro: costruire una nuova GP che possa continuare a vincere in pista battendo le più forti concorrenti giapponesi, e che possa poi dare origine ad una moto di serie dalle caratteristiche eccezionali. Il progetto avanza velocemente grazie alle risorse umane e tecniche a disposizione ed in meno di cinque anni la nuova sportiva bolognese è pronta. Lo stesso Tamburini testa e sviluppa la nuova Ducati, non esitando ad impugnare il manubrio per ‘folli’ cavalcate dove saggiare in concreto il lavoro fatto.

 

 

Nasce la 916


NASCE LA 916 Si arriva così a quel Salone ed al successo di pubblico della nuova 916. Poco dopo ecco la prova di Motociclismo (2/1994). Le prestazioni e la destinazione della moto spingono i nostri tester ad una sessione di prove al chiuso, cioè sul magico asfalto di Monza, dove poter dare sfogo a tutta la “cavalleria” che esprime il motore e misurare quanto riesca a fare il telaio per contenerla. L’esame statico è già un piacere. “È affascinate - leggiamo – più esclusiva di altre Superbike che vediamo nel Mondiale della categoria. Lontano dalle luci dei Saloni ed inserita nel suo ambiente naturale questa Ducati è ancora più bella ed unica. Tamburini ed il CRC hanno fatto un grande lavoro di progettazione sia nello stile sia nella parte ciclistica.

Il motore è interamente opera Ducati ed è la naturale evoluzione del bicilindrico nato nel 1986”. Rispetto ai modelli che l’hanno prestigiosamente preceduta, la 916 sfoggia alcuni elementi del tutto nuovi. Il forcellone è monobraccio anche per velocizzare il cambio ruota in gara, e la carenatura è più leggera, profilata con attenzione al ‘baffo’ aerodinamico. Si è ottenuta così una moto di sezione frontale ridotta ma nel contempo sufficientemente protettiva per impedire che il pilota con la sua sagoma disturbi l’aerodinamica. Contemporaneamente si è diminuito l’interasse a tutto vantaggio della maneggevolezza nel misto. In effetti la 916 appare più piccola e leggera di quanto sia in realtà: sembra di essere in sella ad una 600 ed i 15 kg in meno rispetto alla 888 si sentono tutti.

Misure e pesi sono davvero limati e nel confronto con la 888 si capisce quanto gli anni pesino sulla tecnica di una moto. Il motore è una evoluzione del precedente: i carter sono rinforzati, ma soprattutto la corsa è stata aumentata di 2 mm lasciando intatto l’alesaggio e raggiungendo così i 916 cc. Si è con ciò migliorata la coppia e la potenza ai bassi/medi regimi. Al contrario le caratteristiche basilari del fortunato bicilindrico ad L “Desmoquattro” della 888 sono intonse: raffreddamento a liquido, distribuzione desmodromica comandata da cinghie dentate in gomma con 4 valvole per cilindro ed alimentazione ad iniezione elettronica.

La potenza dichiarata è di 114 CV a 9.000 giri all’albero, ma il motore regge tranquillamente altri 1.000 giri. Lo sguardo della 916 è penetrante: due sottili fari ‘spezzati’ da un setto di carrozzeria, e subito sotto due aperture attraverso cui respira il motore. L’aria aspirata entra con forza maggiore all’aumentare della velocità, e tramite i condotti nei quali si trovano appositi filtri giunge all’air box sotto al serbatoio. Dietro il cupolino c’è un’essenziale ma completa strumentazione ed il manubrio basso e spiovente dotato di tutti i comandi elettrici indispensabili per l’omologazione alla circolazione su strada.

Come va

 

 


COME VA La posizione di guida è naturalmente molto caricata in avanti: la 916 non è pensata per andare a spasso la domenica con la fidanzata, è una moto da battaglia, un “attrezzo” con cui esercitare il proprio sport preferito. Sempre in rapporto alle precedenti Ducati, la 916, pur nelle sue forme attillate, è molto più accogliente. Le gambe si inseriscono bene negli stretti fianchi del serbatoio anche se le pedane piazzate in alto obbligano le gambe ad una piega accentuata. La carica che dà il rosso della moto è tanta ed è naturale cercare di abbassarsi il più possibile dietro il piccolo parabrezza a caccia del prossimo “amico” da superare. Il motore si avvia prontamente.

Va portato in temperatura e poi si parte dosando con esperienza la frizione: la prima non è troppo lunga, ma per evitare sussulti bisogna indugiare un poco sulla leva. D’altronde siamo al cospetto di una delle frizioni più sportive, multidisco a secco (15 dischi) e con comando idraulico. Non bisogna però credere di trovarsi alla guida di una moto scorbutica e riservata a piloti più o meno professionisti. “Il twin Ducati ci sorprende – affermiamo nella prova sul n. 11/1994 - anche se non ci coglie impreparati. È una vera spinta che si riflette in un’accelerazione fuori dalle curve che sorprende anche moto di potenza superiore.

È un motore che è docile e tranquillo fino a 5.000 giri, ma diventa grintoso quando è necessario: l’ago del contagiri sale veloce verso la quota 10.000 senza esitazione e senza ricorrere troppo all’uso del cambio”. Una forza poderosa che il cupolino non riesce a mitigare del tutto e che spinge indietro il casco del pilota se non ha i muscoli del collo ben preparati. Il cambio a sei marce è dolce e preciso, soprattutto dopo l’adozione del nuovo selettore che ha migliorato anche la ricerca del folle. Molto presto arriva la curva e con essa la necessità di staccare e frenare.

La moto è leggera e questo aiuta i freni nel loro compito, tuttavia è proprio l’impianto frenante la parte che, tra i caratteri maiuscoli di tutto il resto, lascia un poco a desiderare. La forza da fare sulla leva è sensibile, e questo sarebbe anche niente visto il carattere della moto ma il fatto è che, con lo scaldarsi dei dischi, le pastiglie vanno in crisi, gli spazi si allungano e la leva si avvicina sempre più alla manopola. L’impostazione della curva è davvero un gioco: la 916 è agile, buttarla giù è uno scherzo, anzi c’è da trattenerla un poco, almeno all’inizio quando si ha paura di essere trascinati troppo in basso. La velocità con cui la Ducati scende in piega è comunque la stessa con la quale riesce a rialzarsi nelle rapide curve ad “S” o in quelle che si susseguono ferocemente nel misto stretto. L’impegno richiesto nella guida veloce è certamente inferiore a quello di altre supersport più dotate in CV. La 916 ha dalla sua un’incredibile facilità di guida, è immediata e sincera.

 

 

Ciclistica straordinaria

 

 


CICLISTICA STRAORDINARIA Sorprendentemente, per essere uno strumento quasi da corsa, la 916 non va guidata di forza, anzi va trattata con dolcezza, confidando nelle possibilità del nuovo (rispetto alla 888) magnifico telaio in tubi d’acciaio al Cr-Mo progettato da Tamburini. Il disegno della struttura è ancora a traliccio, ma è stato irrobustito ed in più c’è la possibilità di variare di un grado l’inclinazione del cannotto di sterzo (da 24 a 25°), il che, con le plurime possibilità di regolazione offerte dalla forcella Showa da 43 mm di diametro e dal monoammortizzatore piazzato in posizione verticale sotto la sella, rende la 916 una moto da plasmare sulle caratteristiche del percorso da affrontare e sul suo pilota.

La taratura delle sospensioni può comunque essere regolata su un settaggio abbastanza morbido per garantire un adeguato comfort su strada: ben poche delle 916 vendute sono poi finite a correre solo in pista. In ogni caso l’elasticità del motore cava d’impaccio anche se si entra in curva con una marcia troppo lunga: la ripresa e l’allungo sono buone e la coppia è tanta, come la sensazione di spinta taurina sulla ruota posteriore che entusiasma almeno quanto il ruggito dei due terminali piazzati sotto la sella. Bellissimo, a proposito, tutto l’impianto di scarico, con i collettori che assumono il colore bronzo dorato, così attillati nelle brusche curve che seguono l’andamento del motore e del telaio, e davvero coinvolgente il disegno delle ruote a tre razze da 17” prodotte dalla Brembo.

 

 

Tanti pregi, un solo difetto

 

 


TANTI PREGI, UN SOLO DIFETTO Frenata a parte l’unica incertezza che i nostri tester riescono a trovare è un lieve ondeggiamento in uscita di curva quando il polso si fa pesante. Il fenomeno, assolutamente controllabile, è attribuibile al monoammortizzatore che, quando la moto è portata al limite, denuncia una lieve mancanza di freno in estensione. In quanto alla velocità massima raggiunta nelle prove di Motociclismo, la 916 tocca i 239 km/h sulla pista di Monza, ma a Nardò, sull’anello di alta velocità, i collaudatori Ducati riescono a portarla ad oltre 260 km/h.

Nata per la pista, la 916 non disdegna certo l’uso stradale, naturalmente nelle mani di un centauro che ne conosca a fondo le complesse sfumature del carattere. In città chiaramente si soffre: anche se l’angolo di sterzo è maggiore rispetto a prima, non è comunque tale da poter zigzagare tra le auto in colonna. La ricerca del folle è invece una piacevole sorpresa perché non più ostica come sulle precedenti 851 e 888, ed anche la frizione, meno sferragliante di prima, è più morbida e modulabile.

 

 

Aggiornata nel tempo

 

 


AGGIORNATA NEL TEMPO A poco tempo dalla prima 916 Strada debutta la versione da pista chiamata 916 SP cioè Sport Production. La SP comunque omologata per la libera circolazione, monta diversi particolari racing presi dalla moto che corre nel Mondiale SBK. Otticamente si distingue per il codino dipinto di bianco e diversi particolari in carbonio, mentre il prezzo passa i 31 milioni di lire. Nel 1995 è la volta della nuova 916 Biposto dove un cuscinetto ‘mimetizzato’ in tinta e piazzato sopra il codino offre un minimo piano di seduta per uno stoico passeggero. In previsione di maggior carico il monoammortizzatore è diverso e sono introdotte anche piccole modifiche al motore e all’elettronica.

Nello stesso anno, insieme a marginali interventi effettuati al telaio della SP, in soli 300 esemplari viene allestita la 916 SP Senna che si distingue per la carenatura in grigio argento scuro e i cerchi in rosso, nata in omaggio alla memoria del pilota brasiliano, grande ammiratore della Ducati. Nel 1996 la SP riceve due iniettori per cilindro e viene ribattezzata SP3. Nel 1997 infine, con il motore maggiorato a 996 cc, arriva la 916 SPS che si può considerare il capitolo conclusivo della carriera di questa eccezionale moto. Moto che non ha fallito l’obiettivo per cui era nata: nella sua storia ha conquistato tre Mondiali SBK, nel 1994 e 1995 con Carl Fogarty e nel 1996 con Troy Corser. Acquistarne oggi un esemplare è un saggio investimento, anche perchè le quotazioni non sono ‘da paura’ in relazione ai contenuti tecnici ed alla storia sportiva della moto.

 

 

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