IL PRECEDENTE: MILANO-DAKAR IN SH 50Ce lo ha raccontato così: “La decisione di affrontare tutto il deserto del Sahara,passando il Marocco, la Mauritania, il Mali per terminare la corsa a Dakar è nata una sera a cena. Un amico, conoscendo i miei burrascosi trascorsi a due e quattro tempi, mi ha invitato a trovare un’automobile da sacrificare per partecipare al Dogon Challenge. [...] La sfida era ormai con tutta evidenza dispiegata sulla tavola, anche fisicamente: una cartina del Nord Africa aveva già sovrastato posate, piatti e bicchieri. La voglia di tornare nel deserto, dopo averlo attraversato a bordo di un affidabile bicilindrico giapponese, era tanta. Ma il tempo pochissimo ed i documenti da fare per le dogane molto più lenti, per esperienza, della mia capacità di concepire un tragitto. A meno di non utilizzare un mezzo che non necessiti di troppe carte a corredo. Come ad esempio un ciclomotore. È fatta. La rotta decisa, il mezzo anche; il prode SH 50 viene acquistato con un esborso di ben 50 euro da una ragazza che se ne privava, a malincuore, dichiarando che il piccolo monocilindrico non fosse ormai in grado di superare i 20 chilometri orari. I giorni successivi li ho passati sdraiato sotto il motorino in mezzo alla neve. Il cambio della marmitta ha risolto l’evidente mancanza di prestazioni regalandomi però un’influenza memorabile. Rendendomi conto che avrei avuto bisogno di un bauletto, ma non avendo le piastre adatte, mi sono rassegnato ad avvitarlo direttamente sulla plastica del povero ciclomotore con delle lunghe viti autofilettanti. Nonostante i maltrattamenti, l’SH ha svolto più che egregiamente il suo compito, macinando chilometri dopo chilometri (circa 6.000) senza battere ciglio ed attualmente sono certo che rende fiero il suo nuovo proprietario a Dakar. Anche quando il faro anteriore ha deciso che era il momento di dare forfait (ovviamente di notte, in curva e con un paio di camionisti mauritani in pericolosa rotta di collisione), dopo 13 ore di guida e circa 600 chilometri percorsi in quella stessa giornata, ero certo che la meta fosse alla mia portata. Spassosi gli incontri tra le dune. Ci sono i locali, incuriositi da questo strano mezzo con una tenda rotonda e rossa (quella che si apre in 2 secondi ma che ha un raggio piuttosto ingombrante, ndr) a fare da freno aerodinamico, come se ci fosse bisogno di limitare ulteriormente le risibili velocità. Ci sono i meccanici, che ti prestano chiavi inglesi spanate per prodigarti in magnifici ed unti “fai da te”, visto che loro quel mezzo non lo hanno mai visto prima. Ci sono altri turisti a due ruote, con mezzi nuovi, potenti, fiammanti, tute tecnologiche, guanti speciali, caschi leggerissimi, dotazioni elettroniche degne di un’astronave; ci rimangono malissimo quando scoprono che stai facendo medie migliori delle loro, visto che ogni giorno si trovano a superarti per l’ennesima volta. Alcuni sono infastiditi da quei guanti da giardinaggio del Brico, quella giacca in plastica che è un regalo della tua banca per aver aperto un nuovo conto corrente, quel casco dei grandi magazzini (ma il cui logo sconosciuto fa il verso ai loro, molto più blasonati). Ma, soprattutto, dalla tua dotazione tecnologica, che comprende un paio di spie poco convinte sul cruscotto, un tachimetro rotto ed un indicatore di benzina che scende per una tacca nei primi cento chilometri e brucia le altre sette nei trenta chilometri seguenti. Praticamente inutile. Devo rispolverare antichi riti da neomotociclista, come scuotere il motorino col tappo della benzina aperto avvicinando l’orecchio, come facevo col Ciao. E, da questo, trarre complesse valutazioni sulla quantità di prezioso liquido rimasto.