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Ducati: la storia del Motore Desmoquattro (terza parte)

Il Desmoquattro è stato il primo motore Ducati con testa Desmo a quattro valvole, iniezione elettronica e raffreddamento a liquido. Ripercorriamo la storia di questo propulsore che ha aperto la strada alle moto che per oltre vent’anni hanno dominato la SBK. Ecco la terza parte della storia e la descrizione tecnica
1/28 Momento storico il 30 agosto 1986: il motore quattro valvole va al banco per la prima volta. I valori sono “prudenziali”: 79,38 e 82,18 CV, ma con la messa a punto la curva sale in modo deciso. Dopo un giorno di lavoro si arriva quasi a 93 CV (contro gli 88-90 della versione 851 cc del vecchio due valvole, usata in gara nel marzo 1986)

Un omaggio al bicilindrico Desmoquattro

Con l’arrivo del nuovo motore V4 (la moto probabilmente verrà presentata al GP di Misano, 8-10 settembre) si aprirà un nuovo capitolo della storia di Ducati. Per cui, prima di fare questo passo nel futuro ci sembra giusto omaggiare il bicilindrico Desmoquattro proponendovi la storia di questo propulsore.
Nei giorni scorsi vi abbiamo proposto la prima e la seconda parte del racconto (se ve le siete perse vi consigliamo la lettura prima di continuare), ecco ora la parte finale, che ci narra le prime avventure in pista della 748 IE e l'arrivo poi della 851. Più in fondo nell’articolo trovate una descrizione tecnica del Desmoquattro del 1986.
Juan Garriga in azione con la 748 IE al Paul Ricard al Bol d’Or del 1986

Al Bol d’Or con la 748 IE

La Ducati 748 IE, a parte gli inevitabili problemi di gioventù, desta subito grande impressione fra i piloti, che si dicono entusiasti del nuovo motore. I più indaffarati sono i tecnici della Weber che devono mettere a punto l’iniezione elettronica e sono alle prese con i sensori (regime di rotazione, apertura corpi farfallati, pressione atmosferica, temperatura dell’aria e del liquido refrigerante, sensore di fase) che fanno i capricci, mandando in tilt la centralina, unica per accensione e iniezione. Trovata una messa a punto soddisfacente il furgone della Ducati può così avviarsi verso la Provenza con un carico essenziale: la moto, qualche ricambio per freni e sospensioni, assieme ai cerchi di riserva da gommare. Gli unici ricambi disponibili per il motore sono due teste ed altrettanti cilindri. La moto non ha ancora un nome ufficiale, anche se al Mugello sulla carena è stato attaccato il numero 748 - che corrisponde alla sua cilindrata effettiva - al quale prima della gara vengono poi aggiunte le lettere IE (acronimo di iniezione elettronica) ed è appunto con la sigla 748 IE Ducati 748 IEche il prototipo del Bol d’Or passerà alla storia. Giovedì 18 settembre 1986, appena 11 mesi dopo i primi disegni a casa di Mengoli, la varca così i cancelli del Paul Ricard per il primo turno di prove libere. Oltre a Ferrari e Lucchinelli, il terzo pilota chiamato a portarla in pista è lo spagnolo Juan Garriga (mentre Cussigh farà da riserva), ufficiale Cagiva nel Mondiale 500, dove ha raccolto quattro punti chiudendo la classifica in 17ª posizione, ma che con la Ducati ha vinto per tre volte la 24 Ore del Montjuich sul terribile tracciato cittadino di Barcellona. I tre non si risparmiano in pista, mentre il box e la tenda bianca della squadra italiana nel paddock vengono quasi assediati da tecnici e curiosi quando si sparge la voce che la moto non è la solita 750 F1. Già essere presenti alla gara con un prototipo assemblato in fretta e furia attorno ad un motore tutto da scoprire è un traguardo che solo un mese prima sembrava impossibile da raggiungere. Ma come si dice l’appetito vien mangiando e gli uomini guidati da Farnè, tutti veterani delle corse di durata, pianificano una strategia conservativa che permetta di risparmiare le forze per terminare la gara sfruttando al meglio le caratteristiche della 748 IE: maneggevolezza -che si traduce in un minor affaticamento dei piloti - ridotto consumo di benzina e dei pneumatici. A preoccupare di più sono i capricci dell’accensione che anche al Paul Ricard fa fare gli straordinari ai tecnici della Marelli. Invece a costringere alla resa la moto italiana alle sei della mattina è la rottura di uno spinotto di biella quando la 748 IE occupa addirittura la settima posizione, grazie alla prudenziale ed impeccabile condotta di gara tenuta fino a quel momento dai suoi piloti.
Un meccanico della Yamaha-Sonauto, sembra quasi volersi infilare nella Ducati 748 IE per carpirne i segreti.

Dalla 748 alla 851

Nonostante il ritiro e il distacco sul giro quantificabile attorno ai 10 secondi durante la gara, complice anche il lungo rettilineo del Mistral, nei confronti della Honda RVF dei vincitori Dominique Sarron-Bolle-Battistini e della Yamaha Genesis di Christian Sarron-Cornu-Hubin, cronometrate entrambe ad oltre 280 km/h, l’esperienza del Bol d’Or è da considerarsi positiva. Una volta tornati a Bologna Taglioni, presente anche al Paul Ricard per assistere al debutto della 748 IE, straccia la famosa lettera di licenziamento di Bordi e Mengoli, mentre la moto che ha corso il Bol d’Or viene smontata ed utilizzata come base per un nuovo prototipo, maggiorato a 851 cc (alesaggio per corsa di 92x64 mm, le stesse misure della due valvole raffreddata ad aria vincitrice nel 1986 in USA) che nel marzo 1987 si imporrà nuovamente a Daytona nella Battle of the Twins con Marco Lucchinelli, facendo registrare nel corso delle prove una velocità massima sul banking di 265 km/h, identica a quella della Suzuki- Yoshimura di Tsujimoto, secondo quell’anno nella 200 Miglia! Nel corso del 1987 la nuova 851 parteciperà, vincendolo sempre con Lucchinelli, al Superbike Trophy, un Campionato organizzato in Italia da Flammini per fare un po’ di rodaggio, soprattutto a livello di regolamento tecnico, in vista del Mondiale Superbike, la cui prima edizione si disputerà l’anno seguente. Anche la Ducati utilizzerà il 1987 per mettere a punto la nuova moto e allestire la versione stradale con cui ottenere l’omologazione necessaria per correre in Superbike. Quest’ultima farà il suo debutto in società al Salone di Milano del 1987 con il nome 851, in una livrea tricolore che riprende quella della moto da corsa, accompagnata dallo slogan “Ducati 851. Il fascino sottile di guidare una Formula 1 italiana”. Dal giorno in cui Mengoli si è seduto davanti al tavolo da disegno a casa sua sono trascorsi due anni, mentre in poco più di dodici mesi si è passati dalla prima prova al banco all’industrializzazione del Desmoquattro. Un vero record, se si pensa che il nuovo quattro valvole è nato in un’epoca in cui i computer hanno ancora un ruolo del tutto marginale nella progettazione di un motore e i tecnici non dispongono di alcun programma - come invece avviene oggi – con cui simulare, attraverso complesse elaborazioni numeriche, i carichi e gli stress a cui va incontro un nuovo motore durante il suo utilizzo prima ancora di averlo costruito. La 851 manda in pensione la gloriosa 750 F1, proiettando la Ducati nella moderna era della Superbike dove farà incetta di titoli iridati.
Il primo esemplare del nuovo motore Desmoquattro appena terminato in Ducati nell’estate del 1986. Progettato da Massimo Bordi e Gianluigi Mengoli, è frutto di numerose ispirazioni specie nella conformazione della testa, Cosworth e BMW su tutte.

Il motore Desmoquattro: un concentrato di novità

Il primo Desmoquattro che vede la luce nell’estate del 1986 sfrutta il basamento del vecchio Pantah raffreddato ad aria, modificato per montare i prigionieri dei nuovi gruppi termici più all’esterno rispetto all’asse dei rispettivi cilindri. I prigionieri, così come le guarnizioni di teste e cilindri, provengono dal motore 900 SS. Il carter sinistro dell’alternatore viene invece ridisegnato per ospitare la pompa dell’acqua, comandata dall’albero di demoltiplicazione della distribuzione che si trova al centro della V dei cilindri. La testa disegnata da Bordi e Mengoli non è la prima a quattro valvole che vede la luce in Ducati. Nel 1973 si era già montato un motore 500 da GP raffreddato ad aria con una testa sperimentale realizzata dallo specialista bolognese Armaroli, che però non aveva dato risultati soddisfacenti a causa della camera di combustione poco compatta. Di questa precedente esperienza i due giovani tecnici tengono poco conto, ispirandosi invece ai motori da competizione BMW e Cosworth utilizzati a metà degli anni Ottanta in campo automobilistico, a candela centrale e con angolo fra le valvole di 40°. Prima di arrivare a questa soluzione, scelta definitivamente dopo una breve visita di Bordi alla Cosworth nell’inverno 1985-1986, si era anche pensato alla doppia accensione con due candele laterali. L’inclinazione delle valvole a 40° comporta una camera di scoppio a tetto che non è il massimo in termini di rendimento, ma è quella migliore per consentire ai bilancieri del comando Desmo - che i due progettisti vogliono mantenere - di lavorare correttamente sullo stelo delle valvole. La distribuzione è composta da due alberi per ogni testata, che lavorano su cuscinetti a sfere e bronzine, ricevendo il moto dall’albero di demoltiplicazione ruotante al centro della V dei cilindri attraverso il collaudato sistema a pulegge e cinghie dentate già visto sui motori Pantah. Ogni albero è provvisto di quattro eccentrici che agiscono su otto bilancieri (a profilo dritto quelli di apertura, a L invece quelli di chiusura), dopo che era stata valutata e poi scartata anche la soluzione più tradizionale a quattro bilancieri. Il diametro delle valvole di aspirazione è di 32 mm, 28 mm invece quello delle valvole di scarico. Le misure di alesaggio e corsa di 88x 61,5 mm, per una cilindrata di 748,1 cc, sono quelle del bicilindrico ad aria due valvole della 750 F1. Le teste e i cilindri in alluminio (questi ultimi con riporto superficiale Gilnisil a particelle di carburo di silicio) vengono commissionati alla Mondial - così come i pistoni - e successivamente lavorati in Ducati. L’albero motore è monolitico - ottenuto per forgiatura e con i perni di manovella abbastanza ridotti rispetto alle masse volaniche - e lavora su due supporti di banco costituiti da altrettanti cuscinetti a rulli. Le bielle sono Carillo, in titanio ricavate dal pieno, scomponibili, che lavorano su bronzine sia al piede e sia alla testa. Sfruttando l’esperienza maturata in quegli anni sui motori utilizzati dalle Cagiva che disputano la Parigi-Dakar, Bordi e Mengoli pensano anche di modificare gli ingombri del cambio per adottare le sei marce - utilizzando però lo stesso basamento del vecchio Pantah che di marce ne ha cinque - con gli ingranaggi in cascata e innesti frontali a tre denti. Mantenendo il primario del cambio originale e lo stesso perno del forcellone standard - che nei bicilindrici Ducati è infulcrato nel motore anziché nel telaio per tenerlo il più possibile vicino all’asse del pignone - i due tecnici riescono a spostare più indietro il secondario del cambio, portando da 57 a 61 mm l’interasse fra i due alberi per fare spazio all’ingranaggio di maggiori dimensioni della sesta, ma poi preferiscono lasciare nel motore la collaudata unità a cinque marce della 750 F1 e rimandare alla seconda fase di sviluppo il debutto del cambio a sei marce (che infatti verrà utilizzato per la prima volta nel marzo del 1987 sulla 851 vincitrice con Lucchinelli alla BOT di Daytona). Dopo la testa a quattro valvole e il raffreddamento a liquido, la terza grande innovazione del nuovo motore è l’iniezione elettronica Weber Marelli IAW (Iniezione Accensione Weber) che sfrutta l’esperienza maturata dall’azienda milanese in campo automobilistico, F1 compresa, nei motori multi-point a doppio iniettore. L’impianto montato sul bicilindrico Desmoquattro è di tipo “Alfa- numerico”, nel quale il regime di rotazione del motore e la posizione della valvola a farfalla sono parametri che servono a misurare la quantità d’aria aspirata. Ottenuto tale valore viene calcolata la quantità di carburante necessaria. Sei sensori di controllo – temperatura aria, temperatura liquido refrigerante, pressione atmosferica, regime di rotazione del motore, apertura delle valvole a farfalla e sensore di fase - che mandano i dati rilevati ad una centralina, consentono di modificare i valori di aria e benzina a seconda delle diverse condizioni di funzionamento. La centralina controlla tutti i parametri di alimentazione e accensione del motore (quantità di carburante che arriva a ogni cilindro in una sola mandata e in modo sequenziale, inizio dell’erogazione del carburante, anticipo di accensione). In base alle informazioni ottenute, la memoria del calcolatore inserito nella centralina sceglie la durata dell’apertura degli iniettori assieme all’anticipo dell’accensione sfruttando le diverse mappature, o EPROM (acronimo di Erasable, Programmable, Reading Only, Memory), già caricate. Il comando degli iniettori, due per ogni cilindro,è di tipo “sequenziale fasato”. Entrambi vengono azionati secondo la sequenza di aspirazione, mentre l’afflusso di carburante in ogni cilindro inizia dalla fase di espansione e prosegue fino alla fase di aspirazione già iniziata. Tutto l’impianto sfrutta buona parte della componentistica di serie utilizzata all’epoca sulle autovetture ad iniezione FIAT e Lancia ed è proprio sulla qualità di alcune sue parti, specialmente quella dei sensori, viene puntato l’indice quando il Desmoquattro evidenzia difficoltà di messa a punto dopo le prime prove. Per il resto invece, il Desmoquattro si rivela subito robusto e ben strutturato e offre un’ottima base di partenza per tutta la sterminata famiglia di motori Ducati 4 valvole raffreddati a liquido il cui primo ciclo viene inaugurato dalla 851 nel 1987.
Una delle teste in lega leggera del Desmoquattro con le valvole inclinate di 40° e la camera di scoppio “a tetto”, assieme alle pulegge e le relative cinghie dentate in gomma della distribuzione.
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