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A far decollare il progetto del nuovo motore sono le richieste dei fratelli Castiglioni che, dopo aver messo da parte la piccola Cagiva a motore Ducati, cambiano strategia e decidono di investire nelle supersportive di grossa cilindrata. Per sfondare in quello che sta diventando il settore commerciale più combattuto occorrono però due ingredienti, prestazioni e vittorie nelle competizioni, che non possono essere garantite dal glorioso due valvole. Perché per avere più CV bisognerebbe salire di cilindrata, come è stato fatto con la moto usata da Lucchinelli a Daytona nel marzo del 1986, che in realtà era una 851 cc con alesaggio per corsa di 92x64 mm, contro gli 88x61,5 mm originali. Ma questa strada è impossibile da percorrere, perché i regolamenti degli unici Campionati a cui possono partecipare le moto quattro tempi derivate di serie a metà degli anni Ottanta - ovvero l’Endurance e la F1 – fissano in 750 cc il limite di cilindrata per tutti i motori, indipendentemente dal numero dei cilindri. I disegni del Desmoquattro entrano per la prima volta in azienda nel gennaio del 1986 quando Mengoli - approfittando di una momentanea assenza di Taglioni - con l’aiuto degli altri uomini dell’Ufficio tecnico definisce nei particolari il nuovo motore, “impreziosito” anche dall’iniezione elettronica, come avevano suggerito di fare gli uomini della Cosworth a Bordi. Questa soluzione, adottata fino a quel momento solo dalla Kawasaki sulla GPz 1100 i.e. nel 1981 e dalla BMW sulla K 100 del 1983, è un vero salto nel buio perché va ad equipaggiare un motore destinato alla produzione di serie che ha però le corse nel proprio DNA. E nel 1986 nessuno, in campo motociclistico, ha ancora tentato di utilizzare nelle competizioni l’iniezione elettronica.