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Cadute in moto: quando meno te l'aspetti

Non sempre si cade perché si corre troppo o perché ci si è distratti. 19 situazioni assurde vissute, raccontate e… disegnate da Mario Ciaccia

Cadute in moto: quando meno te l'aspetti

Come disse Marco Lucchinelli, le moto sono pericolose perché, avendo due ruote, non stanno in piedi da sole. Chiunque va in moto lo sa. I motociclisti più vicini alla caduta sono quelli che gareggiano in pista: forse il fascino delle gare sta nel fatto che vince colui che si avvicina di più al limite estremo, oltre il quale si cade. Al contrario, il mototurista guida in maniera molto più conservativa: sa che il pericolo di cadere c'è sempre, ma cerca di guidare in modo da allontanare, scongiurare questo rischio.

Ci sono volte in cui si guida in un modo tale che ci si aspetta di cadere: è quando tiriamo sui passi di montagna, o zigzaghiamo nel traffico, o facciamo un sorpasso al limite del frontale, o scendiamo da un passo mentre nevica. Altre volte, invece, la caduta arriva quando proprio non ce l'aspettiamo. Ci sono incredibili situazioni di sfiga, oppure vediamo il pericolo, rallentiamo, passiamo con prudenza, pensiamo di avere tutto sotto controllo... e cadiamo. Il record, forse, spetta a Lucio Cecchinello che, quando era un pilota, riportò un trauma cranico non in pista, ma cadendo dal letto del camper. In trent'anni di giri in moto sono caduto diverse volte e quasi sempre perché correvo troppo, ma ci sono stati anche casi in cui proprio non me l'aspettavo. In questo articoletto proverò a ricordare alcuni di questi casi, in cui magari non sono caduto, ma ci sono andato vicino. Ma anche episodi bizzarri, che con le cadute non c'entrano. Purtroppo, non avendo foto di queste situazioni, me le sono dovute disegnare (qui la gallery).

 

IL TAPPETO VOLANTE

Stavo viaggiando in autostrada alla volta di Milano, ero a Parma, mancava ancora un'oretta quando ho visto un'auto che, dopo avermi affiancato, non mi superava, ma andava alla mia stessa velocità. Che cavolo voleva? Mi sono girato e ho visto che, all'interno, stava gesticolando per salutarmi Marco Gualdani, uno dei due compagni di avventure con cui lavoro a Motociclismo FUORIstrada. Anche lui stava tornando a Milano da giri suoi e, casualmente, la sua traiettoria aveva incrociato la mia. Mi ha fatto il gesto di chi vuole fermarsi a bere un caffè, ho accettato, mi ha superato e, mentre procedeva davanti a me a 110 km/orari... ho visto un tappeto volante uscire da sotto la sua auto, alzarsi fino a tre metri di altezza e poi planare verso di me, colpendomi violentemente alla spalla destra, già lussata in precedenza. Ho preso una botta fortissima e ho rischiato di cadere. Il tappeto sarà stato lungo un metro e largo mezzo, era come un grosso zerbino. Marco non s'è accorto che lo stava calpestando, ma negli specchietti ha visto una specie di uccello che mi volava addosso.

 

IL TAVOLO VOLANTE

Stessa cosa del tappeto volante: in autogrill, una coppia di amici ha visto un signore che cercava di legare meglio un tavolo rotondo, molto più largo del tetto dell'auto, che tendeva a scappare per via della sua forma tonda, su cui le cinghie non facevano presa. Poi, il signore è ripartito e i miei amici hanno ripreso il viaggio dieci minuti dopo. Dopo qualche chilometro, hanno raggiunto l'auto col tavolo sul tetto nel momento in cui il carico stava scivolando via dalle cinghie. Per effetto del vento della corsa, s'è messo a volare ruotando come un fresbee, sfiorando i miei amici e finendo in mezzo alla strada, rischiando la strage.

 

L'UCCELLO ARRABBIATO

Negli anni 90 avevo preso l'abitudine di andare a fare fuoristrada lungo un percorso che partiva dal quartiere San Siro di Milano, attraversava un'aera incolta (oggi è un parco: il Bosco in Città), sfiorava Vighignolo e poi, tramite un tunnel che passava sotto l'autostrada Milano-Torino, arrivava a Pregnana. Una zona periferica, tutta discariche, campi di zingari e prostitute col fuoco dentro il bidone per scaldarsi. Una notte decisi di fare questo percorso con un amico seduto dietro la sella della mia Morini Kanguro. Andavamo pianissimo, chiacchierando quando, dall'erba alta, decollò un uccello enorme, forse un airone. Mentre lo guardavamo affascinati, illuminandolo col faro della moto, questo mi saltò addosso, beccandomi il casco con rabbia. Non ero mai stato attaccato prima da un uccello... e non m'è neanche piaciuto!

 

LA STRADA DOUBLE FACE

Sotto il sole di giugno, stavo guidando sulla strada che da Calvi porta a Belgodere, in Corsica, quando in piega sono entrato, di colpo, in una zona dove pioveva a dirotto. Non ho mai visto una cosa simile: nel giro di un metro si passava dall'asfalto perfettamente asciutto a quello fradicio, da sole al diluvio. Sembrava di entrare in una cascata! Ero troppo piegato per restare in piedi su un fondo simile, per cui ho rialzato la moto, allargando la traiettoria al punto che ho fatto tutta la curva (che era cieca) contromano. Avevo la certezza che, se fosse sopraggiunto un veicolo sull'altra corsia, lo avrei baciato in bocca.

 

IL TUNNEL

A Cologno Monzese c'è un sottopasso a doppia carreggiata. Le due corsie sono separate da un muro di cemento. Dentro il sottopasso si accede con una curva cieca, ma tanto la corsia è a senso unico, non si deve prestare troppa attenzione. Peccato che, un bel giorno, dentro la mia corsia ci trovai un TIR che stava facendo il sottopasso contromano. Assurdo, come aveva potuto sbagliare? Frenare era impossibile, mi salvai buttandomi a destra e passando tra camion e muro, nello spazio di un metro. Ecco un caso in cui la moto ti salva la vita: in auto avrei fatto un frontale.

 

LA LEGNA IN TANGENZIALE

A Milano, uscita Certosa, ci sono due ponti e in moto è bello scollinarli a 130 km/orari. Peccato che, un brutto giorno di un paio di anni fa, subito dietro lo scollinamento, invisibile fino all'ultimo, ci fosse una catasta di assi di legno tenute insieme con una cinghia. Era stata, chiaramente, persa da un camion che aveva proseguito senza accorgersene. Frenare non aveva senso, così, d'istinto, mi sono alzato in piedi sulle pedane, ho messo il sedere indietro e non ho chiuso il gas. Sono passato sulla catasta come se fosse stata un tappeto di velluto, ero incredulo. Avere una moto da enduro si rivelò provvidenziale. In questo caso, il classico detto “se sei incerto tieni aperto” aveva funzionato in pieno... C'erano, però, due auto che avevano sfondato la coppa passandoci sopra. La situazione era di estremo pericolo, ma era impossibile andare a piedi a levare quella catasta, perché si rischiava di venire falciati dalle auto; meno male che quelli delle auto sfondate avevano già chiamato la Polizia Stradale.

 

IL PROIETTORE

Dovevo cambiare la lampada del proiettore, non riuscivo a staccarla, decisi di andare con il proiettore dentro lo zaino e lasciar fare al negozio. Andai in bicicletta. Al ritorno feci la rampa del garage, che facevo tutti i giorni, da lustri, senza problemi. Questa volta la feci più piano del solito, per via del proiettore che portavo sulle spalle. Appena finita la discesa, quindi a velocità moderata, quando ormai ero arrivato al mio box, lo sterzo si chiuse, la bici si impuntò e io volai di schiena sulle piastrelle. Il povero proiettore mi fece da paraschiena!

 

SE CADI T'AMMAZZO

Nel 2003 stavo percorrendo l'ultima tappa del Carpat Rally, in Romania, in sella a una BMW F 650 GS messa giù da guerra da Pan Racing. La moto andava molto bene, il percorso mi aveva divertito alla follia, era la quinta tappa e, fino a quel momento, non ero mai caduto. Quando uno dei partecipanti mi chiese se poteva provare la mia BMW, dissi di sì, ma stavo sulle spine. La moto non era mia, ero riuscito a portarla in fondo senza rovinarla e avevo paura che potesse succedere qualcosa, per di più per colpa di un altro. Gli feci terrorismo psicologico, gli dissi “se cadi ti ammazzo”. Lui partì bello lesto, sollevando una nube di polvere; io lo seguii poco dopo, con la sua Suzuki DR350S, una moto che conoscevo bene, avendola posseduta fino a un anno prima e avendoci percorso ben 130.000 km. Mentre percorrevo una sterratona larga e senza buche, con fondo di terra dura – praticamente asfalto – a circa 60 all'ora, mi ritrovai sdraiato per terra, mentre strisciavo accanto alla moto. Ero caduto in pieno rettilineo, su uno sterrato facilissimo, ad andatura moderata, con la moto di un altro, dopo che avevo minacciato di morte quest'ultimo nel caso fosse caduto con la mia. Sono cose assurde, senza spiegazioni e che minano la tua sicurezza. Oltre che farti fare mostruose figure di cacca!

 

FIGURACCIA IN UNIVERSITÁ

Chi non è mai caduto, da fermo, davanti a tutti? La volta peggiore m'è successa quando, al Politecnico di Milano, due lezioni universitarie finirono in contemporanea nell'area cosiddetta “Trifoglio” e centinaia di studenti uscirono in cortile mentre io partivo per tornare a casa con la mia piccola Honda XL200R, una moto bassa e leggera, con la quale cadere da fermo era impossibile (io passo il metro e ottanta). Appena misi la prima, la moto mi scodellò a terra e io rotolai persino dentro una pozzanghera, davanti a circa 400 studenti (erano i giorni in cui, ad architettura, si dovevano scegliere i corsi, quindi c'era un sovraffollamento bestiale). Ricordo che mi rialzai facendo finta di nulla, come il giornalista Savona dopo essersi ribaltato con la MT-09 alla presentazione ufficiale, ma era impossibile non sentire le risa di scherno e le frasi “Che pirla” e “Che figura di m...”.

 

ATTENTI AL BURRONE

Quando si guida in fuoristrada, è normale percorrere sentieri stretti col burrone a lato. Finora ho già visto nove amici andare di sotto, incredibilmente senza farsi nulla. Ma la volta più bizzarra è stata quando uno di questi amici era colui che ci faceva da guida e che, quindi, conosceva benissimo il percorso. Si fermò e disse: “Occhio, adesso il sentiero si stringe e c'è un burrone a sinistra. State all'erta”. Ciò detto, ha innestato la prima, ha dato gas e, dopo due metri, è finito di sotto.

 

MALEDETTA QUELL'ASSE DI LEGNO

Nel 2006 la prima edizione della Sette Guadi, una gara molto bella per maxienduro, prevedeva di attraversare un canale con un ponte di legno, o meglio, un'asse messa a guisa di ponte. Il primo giro lo feci con una ragazza seduta dietro e passai sull'asse senza alcun problema: del resto era larga e corta, non incuteva alcun timore. Al secondo giro passai con la stessa tranquillità d'animo del primo giro, ma qualcosa andò storto. La ruota posteriore perse aderenza di colpo e finì oltre il ponte; ed io cascai nel canale in retromarcia, con la mia enorme Africa Twin. Dovettero ripescarmi in cinque; e in quel bagno mi ritrovai con entrambe le fotocamere reflex, due Canon Eos 20D, fuoriuso.

 

CHIAVI PERSE

Il 2007 è stato l'anno dell'ultima vittoria italiana alla Sei Giorni di enduro, che si disputò in Cile. Stavo seguendo questa manifestazione, quando scoprii che tra La Serena, sede della gara, in riva al Pacifico e il Passo de Agua Negra, alto ben 4.800 m sul mare, c'era una stupenda strada, lunga 250 km, dei quali gli ultimi 150 sterrati. Avendo avuto in prestito una Honda XR250 Tornado, decisi di andarci ma, la mattina presto, persi le chiavi di accensione. Andai al tendone del team Honda (il cui pilota di punta era il mitico “Chaleco” Lopez) e questi mi sistemarono i fili elettrici in modo di fare a meno della chiave. Partii, quindi, alla volta dei 4.800 m del passo ma quando, 70 km più in là, mi fermai per fare benzina scoprii che ero talmente fesso da non avere considerato che la chiave non solo serviva per avviare il motore, ma anche per aprire il tappo della benzina. Fui costretto a far trapanare quel tappo!

 

BELVA MISTERIOSA

Nel luglio del 2010 stavo risalendo la gola dell'Infernotto con una Yamaha Ténéré 660 che aveva la frizione cotta, per cui il motore era sempre in presa: non potevo viaggiare al di sotto di una certa velocità, cosa problematica nei tornanti. Il fondo era scassatissimo e io, come temevo, non riuscii a chiudere un tornante, sicché la moto cadde col manubrio a valle. Ero l'ultimo della fila e gli altri non si accorsero della mia caduta, ma io non riuscivo a rialzare la moto da solo. In questi casi, basta mettersi tranquilli e aspettare che gli altri tornino indietro a vedere cos'è successo, per cui decisi di andare nel bosco, dove faceva fresco. In effetti, dentro si stava bene: era una foresta fittissima, tutta in ombra. Ma spaventai un animale misterioso, che mi urlò contro. L'urlo era devastante, straziante, da belva feroce, una cosa terrificante, mai sentita sul National Geographic Channel. Mi si alzarono i capelli sulla testa e uscii dal bosco correndo veloce come Usain Bolt. Non vidi nulla, neanche un cespuglio muoversi, ma quell'urlo era stato spaventoso. Negli stessi giorni il mio migliore amico era in Sudafrica e gli successe la stessa cosa: mentre scendeva sul fondo di un canyon, al crepuscolo, si trovò davanti l'ombra di un grosso felino che gli ruggì addosso. Ma lui poteva permetterselo: era in Africa, mica in Piemonte.

 

AUTOGRILL A TRE

Finalmente non parlo di cadute o spaventi, ma di una bizzarra coincidenza. Federico Aliverti, vice direttore di Motociclismo, va in Trentino a portare moglie e figli in villeggiatura, quindi torna a Milano. All'altezza di Desenzano, telefona per motivi di lavoro a Marco Marini, che dirige Motociclismo FUORIstrada e scopre che quest'ultimo si trova anche lui in autostrada, cinque minuti dietro di lui, perché sta tornando da un week end passato a Verona dalla fidanzata. I due si accordano per prendere un caffè insieme all'autogrill di Desenzano. Aliverti arriva per primo, aspetta Marini... ma arrivo io, che sto tornando dal Fintentreffen 2012 e ho voglia di un tè caldo. Ovviamente non sapevo nulla di loro due. Se già è difficile che due persone si incontrino per caso in autostrada, beh, che dire di tre?

 

AUTOGRILL A DUE

Boh, qua non ci sono coincidenze o casi strani, ma è comunque una cosa bizzarra che m'è successa andando in moto: mentre guidavo, di notte, diretto a Pesaro, dopo avere fatto fuoristrada sull'Appennino Reggiano, notai che l'auto che mi stava superando non solo si era messa ad andare alla mia stessa velocità, ma aveva anche acceso la luce interna, attirando la mia attenzione. Mi girai a guardare e dentro c'era una ragazza in canottiera, con la quarta di reggiseno, ma senza reggiseno che, dopo avermi fissato con sguardo deciso, abbassò la canotta, estrasse le tette e si mise a carezzare il seno destro, una grossa palla con un capezzolo enorme. A momenti uscivo di strada, per lo shock. La tipa, poi, si mise davanti a me e mise la freccia per uscire al primo autogrill, che arrivò dopo appena un chilometro. Io tirai dritto, ma ho scoperto che era un sistema di adescamento messo in atto dai viados tra Bologna e Rimini, una decina di anni fa. Ho sempre pensato che scena trash sarebbe stata se avessi accettato la provocazione: un tipo che fa all'amore vestito da cross, con pantaloni e stivali infangati.

 

PARCHEGGI BIZZARRI

Cena da un amico, a Milano. Usciamo e non crediamo ai miei occhi: la mia moto e quella di mio fratello sono sdraiate sui cofani di due auto parcheggiate. Dei vandali si sono divertiti a spingerle dal lato opposto a quello della stampella laterale, facendole cadere sulle auto in sosta. I danni sono lievi: graffi, ammaccature e un faro rotto. Ma non possiamo andarcene come se non fosse successo nulla. Tramite le targhe, riusciamo a risalire ai proprietari delle auto, i quali non capiscono: “Ma se la mia auto è posteggiata da tre giorni! Non è con me che ha fatto l'incidente, ha sbagliato persona”.

 

CHE FACCIATA!

Questa m'è successa in bicicletta, negli anni 90, quando le mountain bike economiche non avevano il blocco di sicurezza sui perni ruota: stavo chiacchierando tranquillamente in Corso Sempione a Milano, pedalando parallelo a mio fratello, quando colpo ho sentito una botta spaventosa in faccia e ho pensato di essere stato preso in pieno da un meteorite. Poi ho capito che ero sdraiato per terra. La bicicletta aveva la ruota anteriore staccata. Allora ho capito: qualche scemo s'era divertito a smollare lo sgancio rapido della ruota, questa s'era staccata dopo pochi metri e s'era incastrata contro la forcella, bloccandosi e facendomi volare faccia avanti, ma senza mettere le mani, quindi devastandomi la faccia. Si trattava di un tipo di caduta molto diffuso negli anni 90 nelle gare di discesa, perché erano anni di sperimentazione e c'erano cannotti in fibra di carbonio che cedevano di schianto. Solo che, con quel tipo di incidente, la persona alla guida non si accorge di stare cadendo, quindi finisce faccia a terra senza mettere le mani avanti.

 

VIVA I FRENI!

Comparativa “dal tramonto all'alba” tra la Harley-Davidson 1200 Nighster e Triumph Bonneville. Le moto sono dentro il garage di Federico Aliverti. Scendo, monto in sella e porto fuori la Harley, quindi do gas per arrivare in cima alla rampa ma, una volta in cima, chiudere il gas e frenare non serve a nulla: la leva del freno anteriore va a fondo corsa senza opporre resistenza e il freno motore non c'è, perché il motore è tarato col minimo altissimo. Sicché, finisco contro il furgone del fotografo, come nei video che la gente posta su You Tube con le compilation delle cadute dei principianti in moto. Aliverti è in panico: ma a che imbelle ha affidato questo servizio? Poi, si ricorda di avere visto suo figlio armeggiare col cacciavite sulle pinze anteriori dei freni della Harley.

 

VIVA IL FRENO MOTORE!

Circa dieci anni fa, Motociclismo fece un servizio su come preparare la moto per l'inverno. Portammo una Buell CR 1135 dentro lo studio fotografico e le applicammo i vari accessori da freddo. Nel frattempo, fuori si mise a nevicare da bestia. Finite le foto, io presi la Buell per riportarla nel garage sotterraneo, ma la rampa era innevata. “Poco male – pensai – metto la prima, non tocco i freni e lascio fare tutto al freno motore”. Ma la moto era tarata come quelle da superbike, cioè col minimo altissimo, per cui in discesa anziché frenare accelerava. Panico: mi attaccai ai freni, ma l'avantreno perse aderenza, allora smisi di frenare con le leve e scesi frenando coi piedi, cercando di reggere la ruota anteriore, che si stava sdraiando definitivamente. Non cascai e non mi schiantai contro il muro che c'era in fondo alla discesa, ma fu un miracolo.

 

(Ndr: Queste situazioni paradossali e assurde non possono che far pensare alla legge di Murphy. Cliccate qui per un articolo di Tarcisio Olgiati riguardo alla sua versione "per Motociclisti". Tratto da Super Wheels di agosto/settembre 2006)

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