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Assetti motociclistici, che mondo vastissimo!

Prendete due moto identiche, cambiate pochi particolari dell'assetto e vedrete che cambiamenti... Non è raro che la moto del grande campione, o del vostro più caro amico, possa sembrare inguidabile

Assetti motociclistici, che mondo vastissimo!

Non siamo tutti uguali, abbiamo le nostre personalità e gli assetti delle moto parlano per noi. Eppure, le moto escono tutte uguali, dalle fabbriche. Non come le biciclette.

 

MA PERCHÉ?

Le biciclette sono adattabili a qualsiasi fisico. Dal ciccione alto un metro e sessanta al mingherlino alto due metri e diciotto. Per ogni modello esistono telai di diverse misure. Puoi regolare l'altezza e l'avanzamento della sella e per il manubrio, oltre a questi due parametri, c'è anche la possibilità di variare la larghezza. Invece, se quel ciccione tappo e quel mingherlino chilometrico volessero lo stesso modello di moto, se lo sorbirebbero della stessa misura. L'unica. Certo, è possibile lavorare sull'altezza della sella, sulla foggia del manubrio e sul suo posizionamento, ma con cambiamenti minimi rispetto agli stravolgimenti possibili sulle bici (nella gallery un po' di foto che spiegano bene il concetto).

 

I FUORICLASSE

È risaputo che ci sono dei fuoriclasse che si fanno cucire addosso moto che sanno guidare solo loro. Forse, il caso più clamoroso della storia è quello dell'australiano Casey Stoner, l'unica persona al mondo in grado di vincere gare e titoli con la Ducati Desmosedici, a partire dalla versione del 2007. Lui vinceva, mentre i suoi compagni di squadra lottavano per entrare nei primi dieci, con una moto che definivano inguidabile. Neanche Valentino Rossi è riuscito a piegarla ai suoi voleri. Ma lo stesso succede con Tony Cairoli, l'unico capace di andare fortissimo con la KTM 350 bialbero da cross. Tutti gli altri preferiscono la 450 monoalbero. E che dire di Stefan Everts, che ha vinto dieci titoli mondiali con una moto per metà flaccida e per metà rigidissima, che faceva schifo a chiunque la provasse?

 

I COMUNI MORTALI

Eppure bastano pochi cambiamenti per stravolgere un assetto. Prendete un gruppo di amici, che fanno gli stessi percorsi e allo stesso passo, quindi hanno stili di guida ed esigenze simili. Anche tra quelli di corporatura analoga ci sono differenze che fanno impressione. Nel mio giro siamo tutti “fuoristuristi”, quindi usiamo moto dual sport su percorsi misti asfalto-fuoristrada. Danilka Livieri è fissato con le vintage e usa indifferentemente una Yamaha XT500 o una XT600Z Ténéré prima serie. Lui è molto bravo, va veloce con disinvoltura, ma estremizza l'assetto per una guida in piedi molto carica sull'avantreno, ruotando il manubrio in avanti in una maniera raccapricciante. A me, che guido sempre seduto, sembra di essere ripreso nella trassmissione “Scherzi a parte”, quando provo le sue moto. Carlo Acquistapace è alto come me e ha una Suzuki DR-Z400E trasformata con la stessa ricetta della mia: serbatoio maggiorato IMS, faro da notturna Trail Tech, telaio reggisella della DR-Z400S, telaietti laterali per le borse. Eppure, guidarla mi fa schifo: lui adora i manubri con le estremità rivolte verso l'alto, mentre io le preferisco verso il basso, piuttosto. E, cosa sconcertante, lui sega le manopole per un quarto, pur avendo le mani grosse come le mie. Quando impugno il suo manubrio, non riesco a stringerlo con tutta la mano: le estremità pendono nel vuoto. La sensazione, orribile, è quella di non riuscire a controllare la moto. Tutte le volte che la provo penso: “Ma Carlo è scemo?”.

 

SCAGLI LA PRIMA PIETRA...

Ma anche io sono giudicato strano, dagli altri. Quando provano la mia DR-Z, dopo poche centinaia di metri tornano indietro e scendono con una smorfia di schifo dipinta sul volto. Francesco Agostini è il più balordo: ha una Honda XR400R (anzi, aveva: gliela hanno rubata da poco) che usa pochissimo in fuoristrada e che equipaggia come un'arma totale da Elefantentreffen le volte che viene a fare il Fintentreffen, anche quando incappiamo in una primavera precoce.  Ha la coperta per le gambe montata arretrata, moffole al manubrio col pelo dentro ed enormi valigione Zega in alluminio. Io adoro la XR400, ma la sua era veramente poco piacevole da guidare. Le moffole al manubrio avevano tantissimo pelo, forse aggiunto da lui medesimo, tale da rendere l'ingresso della mano un terno al lotto.

Nevica, tu levi la mano dal manubrio per pulire la visiera, quindi torni a cercare la manopola, ma non centri il buco, annaspi al fuori e si avvicina la curva... La coperta per le gambe era montata arretrata, ma in questo modo ero costretto ad arretrare parecchio col sedere, finendo contro i bagagli. Era una lotta di ginocchia contro la coperta e di chiappe contro la borsa, che finiva per stancare. Quando mettevi giù i piedi, rischiavi che venissero risucchiati dalle megaborse. Un disastro! Eppure, lui ci macinava km tutto felice, con quel cesso.

 

LE SPORTIVE

Non sono un grande esperto di moto sportive da strada, ma m’è capitato di guidarne alcune e ho notato un’evoluzione costante nella postura in sella. Nel 1985 mi comprai una Moto Morini Tre Mezzo Sport e due amici avevano la Moto Guzzi V35 Imola. Beh, come moto sportive mi sembravano una presa in giro: avevano messo i semimanubri a delle moto da turismo, senza arretrare le pedane. Si guidavano davvero male, col busto inclinato e le gambe davanti. Mi sembrava di essere un bimbo che faceva finta di avere una moto da corsa. Ma queste non possono essere prese come tipico esempio di moto sportive degli anni Ottanta: la Ducati Pantah 500 SL lo era e infatti aveva un’assetto praticamente da pista. Nel 1993 guidai una Moto Guzzi Daytona e lì mi sembrava che fosse tutto al posto giusto: ma oggi non viene più concepita una moto in cui ci si sdraia lunghi distesi su un largo serbatoio, quasi da invogliare a impostare la piega spingendo coi gomiti. Un amico aveva una Yamaha FZR1000 Ex Up che all’epoca era considerata estrema, ma che oggi sembra quasi una moto da turismo, perché si stava sempre molto distesi sul serbatoio, ma il manubrio era meno basso di quello che mi aspettassi e anche le pedane non erano così arretrate. Penso che abbia una sua logica: le moto sportive erano concepite per girare soprattutto su strada, l’anomalia è stata esasperarle sempre di più sino ad arrivare ad assetti da pista. Non ho mai guidato la Kawasaki GPZ900R, ad esempio, ma credo che oggi verrebbe considerata una sport-touring, con i suoi semimanubri belli alti. Ricordate quant’era buffo Fabrizio Pirovano, quando corse il Mondiale Superbike 1988 con una Yamaha FZ750 strettamente derivata dalla serie?

C’è stato un periodo in cui le Case differenziavano tra sportiva estrema “stradale ma da pista” e sportive più stradali e meno impegnative. Di queste ultime ne ho guidate alcune, come la Honda VTR1000F, la Suzuki SV1000S, l’Aprilia Falco 1000 e la Buell XB12R e mi sembravano avere assetti naturali e piacevoli (finché i tornanti non diventano troppo stretti: ricordo una discesa dal Passo del Cuvignone con una SV1000S e avrei preferito mille volte un bel manubrione alto!), mentre su una moto più radicale come la Kawasaki ZX-6R 636 del 2002 mi sono sentito un imbecille. Le pedane arretrate, come giusto che fossero, mi facevano cadere un avanti, ma il manubrio era troppo vicino al busto e troppo in basso, tanto che mi sembrava di avere il naso oltre il mozzo della ruota anteriore. E m’è venuto in mente Ben Bostrom: quando lo vedevo gareggiare nella superbike, in tv, sembrava avere quell’assetto lì. Io non mi ci trovavo bene, perché mi sembrava di stare su una pit bike e mi ci muovevo sopra con grande impaccio, ma non sono Ben Bostrom, io.

 

TRE TIPI DI PEDANE

Però, come dicevo all’inizio, quello degli assetti è un discorso soggettivo. I costruttori adottano tre scuole di pensiero, quando si tratta di “pedanare” una moto: centrali, avanzate o arretrate. Non sto parlando di mezzi particolari dove devono per forza essere arretrate (le sportive) o avanzatissime, come gli scooteroni, le Harley-Davidson o la Honda CTX700 di cui parlavo due settimane fa, mezzi che nascono esplicitamente per avere le pedane là in cima e che penso suscitino sensazioni omogenee in chi le guida: ovvero che nei tornanti avere i piedi tutti avanti fa divertire di meno, ma in viaggio questa postura è molto rilassante. No, sto parlando di quando il costruttore ha finito di realizzare una moto e deve decidere dove mettere le pedane. Ciascuno di noi, in sella, ha una sensazione precisa: “Sono troppo avanti, sono giuste, sono troppo indietro”. Spesso bastano 2 cm avanti o indietro per avere effetti opposti. Ci sono moto che sembrano mettere tutti d’accordo. Ad esempio, la Honda Crosstourer 1200, la Moto Guzzi V7 e la Yamaha TT600R vengono criticate in maniera abbastanza universale per avere le pedane troppo avanzate. Sulla Honda è una scelta: è una posizione non ottimale per la guida aggressiva e per quella in fuoristrada, ma è molto comoda e rilassante e questa moto nasce per macinare km. Sulla V7 sembrerebbe proprio un errore progettuale, perché oltre che avanzate sono anche alte, per cui danno veramente fastidio anche senza essere dei giganti. Invece, sulla Yamaha è proprio una scuola di pensiero, se si pensa che sulla TT600RE, versione più tranquilla, con avviamento elettrico, parastrappi e sospensioni con minore escursione, sono state montate delle pedane ancora più avanzate! Le BMW invece prediligono le pedane arretrate. Si tratta di una scelta obbligatoria sulle boxer, dato che i cilindri stanno giusto giusto davanti agli stinchi, ma le si ritrovano anche sulla G 650 Xchallenge e Xcountry. Curiosamente, però, una moto da strada sportiveggiante come la F 800 R le ha avanzate e alte, quasi come la Guzzi V7. Personalmente, io non amo le pedane arretrate, ma non so spiegare perché. Le trovo comode e in curva funzionano bene, ma non le amo. Poi ci sono moto che, secondo me, dovrebbero averle arretrate, come la Ducati Multistrada, che ha un’impostazione turistica ma di fatto è una moto sportiva, come carattere e non solo come prestazioni; eppure la sensazione che trasmette è di avere pedane leggermente avanzate.

 

EFFETTO PLACEBO

Marco Gualdani, il mio compagno di banco, mi suggerisce anche clamorosi casi che avvengono nel mondo delle corse. Sono di natura opposta: c’è un pilota che si lamenta della moto, chiede una modifica, non la fanno ma gli comunicano il contrario. Il pilota torna in pista, gira e rientra ai box soddisfatto: “Grazie, la modifica ha funzionato”. È l’effetto placebo. Altre volte, invece, vengono fatte delle modifiche di nascosto... e il pilota non se ne accorge! Succede pure questo...

 

UN CONTO DA SOLA, UN CONTO A CONFRONTO

Un'altra moto che posseggo è la Honda Africa Twin. L'ho fatta sistemare con molle ed olio diversi nella forcella, un mono WP e un manubrio Renthal blu anodizzato il cui nome non lascia dubbi sulla destinazione d'uso: “Dakar”. La moto è comodissima anche dopo 300 km o al termine di una Hardalpitour, copia tutte le asperità senza scartare e si controlla molto bene. Ma, quando provo le moto degli altri, al ritorno sulla mia la trovo stranissima e devo sempre farci una ventina di km per riabituarmi.

Nel 2008 partecipai a uno “scouting” della guida Corrado Capra verso il Mont Ventoux ed ero con la mia Africona. Gli altri tre compagni di viaggio erano in sella a due KTM Lc8 da 950 cc e a una BMW R 80 G/S stravolta dal preparatore Poletto. Erano innamorati persi delle loro moto e l'unico argomento di conversazione, durante i pasti, sembrava essere quanto fosse figa la KTM e quando fosse sfigata l'Africona. Non lo dicevano con cattiveria, è come quando, a San Remo, uno guarda la Litizzetto esibirsi accanto a Laetitia Casta. E mi esortavano a guidare le loro moto. Lo feci e mi colpì, in particolare, quella di Rocco Monaco, che era stata alleggerita all'osso ed aveva un manubrio segato alle estremità, alto e dritto. La provai su uno sterratone senza buche e mi esaltò. Il manubrietto strettissimo permetteva di curvare con piccoli movimenti e grande precisione. L'enorme potenza del motore permetteva di chiudere la curva con brevi spazzolate, controllabili molto bene: cosa clamorosa per uno, come me, che non sa derapare. Rocco rimase malissimo quando provò la mia Africa: “Mario, non ci credo che tu fai fuoristrada con uno schifo di manubrio simile”. “Come osi? È un Renthal Dakar!”. Gli restituii il suo ferro e tornai sulla mia Africa Twin. Ed aveva ragione: il Dakar era esageratamente largo e arretrato, adesso la mia Africa non sembrava affatto la moto usata incessantemente nei tre anni precedenti, ma un modello del tutto nuovo, col manubrio sbagliato. Mi sembrava di essere stato crocifisso, da quanto era largo ed era così arretrato che mi pareva di avere le mani in linea con le anche. Dopo 20 km, però, era tornata la mia meravigliosa moto.

Due giorni dopo, a vista del Ventoux, affrontammo una salita lunga e piena di solchi scavati dall'acqua piovana. Il fondo era friabile. Feci la stessa salita sia con la KTM di Rocco sia con la mia Africa e, questa volta, il manubrietto stretto mi sembrò moltiplicare la fatica di controllare un mezzo pesante su fondi insidiosi, dove si doveva cambiare traiettoria di continuo. Inoltre, con l'Africa potevi dosare il gas quanto volevi, con la KTM no: spingeva sempre tanto, troppo!  Ma Rocco era allenato e guidava in maniera sopraffina, per cui manco si accorgeva che ai bassi la LC8 era impegnativa.

 

LA MOTO PIÙ ASSURDA

Ma, durante quella gita, c’era anche la moto di Corrado Capra. La più assurda che abbia mai guidato. Si tratta di una BMW R 80 G/S alla quale è stato segato a metà il serbatoio, in modo da avanzare la sella, che è un parallelepipedo duro e spigoloso come se fosse di legno. Questa modo, di serie, ha già le pedane arretratissime, per lasciare il posto non solo ai cilindri sporgenti in fuori, ma anche ai carburatori Bing piazzati alle loro spalle. Se avanzi la sella, la sensazione di arretramento diventa tale che sembra di guidare inginocchiati sui cilindri. E se non ami le pedane arretrate, come me, qua sopra diventi isterico. Le sospensioni hanno escursione praticamente doppia e la sella è altissima da terra, perché per Corrado bisogna guidare sempre in piedi e, se proprio devi sederti, devi avere le gambe quasi distese! Sicché, uno alto un metro e ottantaquattro come me tocca a fatica con la punta di un piede solo. Per Corrado, che non è più alto di me, va bene così, perché lui appena rallenta scende al volo alla cavallerizza e lo stesso fa per risalire a bordo, come faceva Gaston Rahier quando correva la Dakar con le BMW ufficiali. Ma io non riesco a scendere in quel modo, per i postumi di un incidente che mi ha distrutto un ginocchio. Ma non riesco neanche a scendere nella maniera classica, perché la gamba va a sbattere contro i bagagli. Dovrei mettere giù il piede, estrarre la stampella, assettare la moto e scendere facendo passare la gamba davanti al bagaglio, ma la stampella viene bloccata con un elastico e si può azionare solo scendendo di sella... Alla fine, per scendere dovevo appoggiarmi a muri, alberi, compagni di sventura! Insomma, sembrava una moto studiata apposta per mettere a disagio il suo pilota, ma Capra se l’è fatta fare apposta così, è su misura per lui, la adora, ci fa quello che vuole, è felice...

 

GUIDA CHE HAI, MOTO CHE HAI

Un'altra volta, nel Varesotto, ci divertimmo a scambiarci le moto e a provarle su un anello composto da una pietraia in salita, un zig zag nel bosco, una discesa in contropendenza, una curva strettissima e poi via, iniziava il secondo giro. Iniziai con la mia Africa Twin, che mi sembrò perfetta. Poi passai alla Transalp di Francesco Martello, guidatore tranquillo ma di non eccelsa statura: ecco quindi sospensioni morbide ma non flaccide e sella ribassata, per una postura “a gambe in bocca” se si è più alti di lui. Il motore è quello della Transalp 650, dall'erogazione elettrica. Da tutto questo si capisce che questa moto è perfetta per viaggiare nel tecnico e in condizioni difficili, quando devi zampettare su fondi viscidi.

Al contrario, Gabriele Rossi non ama i giri a largo raggio. Concepisce il fuoristrada come brevi uscite dove dare il massimo, quindi vuole una moto rigida e dalla risposta pronta. Avendo un amore senza confini per i motori Ducati, si è fatto un'Elefant su misura. Ciò che mi esalta dei motori Ducati è che i Pantah ad aria sono stati realizzati in diverse versioni, dedicati a sportive stradali, custom, enduro... ed è pertanto facile lavorare su volani, rapporti al cambio e alberi a camme per ottenere quello che si vuole. Ho guidato l'Elefant di Walter “Boombastic” Danieli, apprezzandone il motore-babà, molto pronto sotto, ma con dolcezza. Ma quella di Rossi era una vera moto da corsa: ai bassi non succedeva nulla, poi la potenza arrivava di colpo; le sospensioni da 250 mm di escursione alla ruota, prelevate da vecchie enduro racing, erano tarate rigidissime; e la sella era alta, stretta e dura. Una vera moto da corsa, difficile da portare sulla pietraia, molto precisa nel tratto a zig zag nel bosco. Piena di fascino, godibile solo in mano ad esperti. Proprio come la sorellona Multistrada 1200!

Ed ecco la Yamaha XTZ660 Ténéré di Luca Ghigliano, fotografo contemplativo che non ama correre, bensì arrivare. Ho sempre considerato la 660 una concorrente temibile per l'Africa Twin, perché su asfalto è comoda e veloce, mentre in fuoristrada ha molta più trazione. Ma la moto di Luca mi s'è rivoltata contro! Lui è alto circa due metri e s'è fatto alzare la sella, ma in maniera strana: spinge verso l'avantreno, che fastidio... Mi sento inclinato verso il serbatoio, quindi faccio pressione sul manubrio per tornare su, ma Luca ha girato il manubrio con le manopole che sparano verso la Luna e tutto questo mi destabilizza, bastano un manubrio ruotato e una sella inclinata per farmi giudicare inguidabile una moto. Aggiungete che le sospensioni derano tarate durissime e che, sulla pietraia saltellavano senza dare trazione e potete capire come sia facile farsi idee opposte sulla stessa moto.. 

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