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Rossi - Marquez: la lealtà di gareggiare per un obbiettivo manifesto

Vi anticipiamo il controeditoriale di Motociclismo di novembre, in edicola fra pochissimi giorni con un lungo articolo anche sui segreti e i retroscena della sfida dell’anno tra Valentino e Lorenzo

Duelli brutali sì, ma per vincere

Fra le tante posizioni traballanti a sostegno del comportamento di Marquez duello a Sepang con Rossi, prevale l’esaltazione della rivalità. Dello spirito agonistico di un talento straordinario quale Marc indubbiamente è.
Bisognerebbe però far digerire a questo agguerrito adolescente legittimamente pronto a spodestare il Re, che la gloria, nello Sport, non si conquista a tavolino. E soprattutto che l’inimicizia e il rancore come strategia contro qualcuno non pagano mai. I campioni di tutti i tempi sono passati alla storia per un antagonismo culminato in duelli spesso brutali, sempre memorabili. Bartali/Coppi, Tyson/Holyfield, Senna/Prost, Rossi/Biaggi. Ma anche Rossi/Gibernau, Rossi/Stoner, Rossi/Lorenzo. Sono volate parole grosse e talvolta anche cazzotti. Si sono sprecati speronamenti, gomitate, colpi bassi. Ma il comportamento in alcuni casi disdicevole per una sorta di transagonismo è stato sempre dentro il perimetro dello Sport. Del sacrosanto animalesco sfrenato desiderio di VINCERE. Di arrivare davanti. Di essere il numero uno. È, questo, un sentimento accettabile finché sussiste un presupposto: la lealtà di gareggiare per un obbiettivo manifesto.
Ostacolare un pilota per il gusto bambinesco di farlo perdere è un’azione antisportiva che passerà alla storia solo per il triste motivo di non avere precedenti. Insomma non c’è premio, non c’è coppa, non c’è targa, non c’è gloria. In fondo alla gara di Marc Marquez c’è solo un vuoto desolante.
Valentino in pista non è un santo. A Sepang ha abboccato, ha reagito, ha sbagliato. Lui stesso ha ammesso di “aver portato largo Marquez”, e per questa manovra è stato giustamente sanzionato. Tra le attenuanti, a mio parere, c’è la provocazione spudorata, l’involontarietà della caduta e la scelta di reagire in una curva da 50 km/h.
Non lo dico solo io, ma il direttore di gara Marc Webb (Irta): “Rossi non ha dato un calcio a Marc, lo si capisce anche dalle immagini, ma in quella curva ha avuto una condotta di gara irresponsabile, e per questo è stato sanzionato. Marquez però ha rallentato deliberatamente Rossi, lo si capisce sia dal cronologico dei tempi sia dalle immagini TV, ma non è andato oltre il regolamento, quindi non è sanzionabile”.
Sembra una contraddizione in termini e invece Webb, a caldo, ci restituisce un'analisi impeccabile. Perché a ben vedere in nessun Regolamento sportivo è possibile trovare un pensiero subdolo come l'ostruzionismo gratuito alla voce comportamenti scorretti. Semplicemente perché rallentare deliberatamente qualcuno è una azione incompatibile con lo Sport. Mentre il fallo di reazione, che è previsto con relativi gradi di gravità e di sanzioni, in quanto ammissibile e punibile non avvilisce il valore alto della moralità sportiva.
Il gelo che al giro 7 cade sulla pista malese è l’epilogo di un’incomprensione strutturale. Qualcosa che divide un uomo e un bambino accomunati solo da un talento smisurato nell’andare in moto. Ora noi possiamo spendere tante altre parole, tanti giudizi, schierarci e perfino degradarci in zuffe da bar.
Tornerà un religioso silenzio solo quando gli occhi del mondo saranno puntati sull’ultimo posto della griglia di partenza a Valencia.
 
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1/50 Danilo Petrucci
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