di Antonio Femia - 20 March 2017

Calabria in moto, cercando radici e identità dell'Aspromonte

Una meta imperdibile per un viaggio in moto in Italia è la Calabria. In Aspromonte con una Yamaha Ténéré 660. Tra fiumare e paesi fantasma, ecco un itinerario che riscopre fascino e identità del “Capolinea dell'Appennino”: da Locri a Bagnara Calabra, dal parco Nazionale a Bova Marina

il fascino della fine e del confine

La montagna "bianca"

La Statale 106 corre parallela a una bianca costa di sabbia fine pressoché deserta dove potersi godere il mare in libertà e solitudine. Sull’altro lato, nell’entroterra, si stagliano austere le cime dei primi rilievi aspromontani, retroguardie dei bianchi calanchi d’argilla che riflettono la luce del sole, tra campi ingialliti e punteggiati di ulivi. Aspro è riferito non solo alla durezza del territorio, ma deriva dal greco "aspros", bianco, con cui i primi colonizzatori greci qualificarono la montagna proprio per l’argilla abbagliante. Questa regione, penisola nella penisola, è come una grande montagna al centro del Mediterraneo e la catena dell’Aspromonte, capolinea dell’Appennino, ne è l’esempio più imponente. Di questo gioco di frattali geologici risentono i borghi aspromontani, abbarbicati a cocuzzoli e picchi, scelti dagli antichi fondatori per scampare alle invasioni o semplicemente perché vi trovavano condizioni favorevoli. Un territorio il cui ritmo è scandito dalle fiumare, piccoli rigagnoli in estate che si gonfiano in inverno e che, quando pare a loro, straripano cambiando i connotati alla terra. La gente di quest’angolo di Mondo rispecchia questo scenario: ospitale e accogliente ma dai modi ruvidi; gli anziani gestori del bar della piazza di Palizzi, il primo borgo che visitiamo, ci fanno sedere con loro rispondendo alle nostre domande: lei con umorismo secco e sagace, lui più taciturno ma sempre bonario. Ci sono due organetti di fianco al bancone, domandiamo a lui se sono suoi: “No, ieu non sonu. Peró stannu ddá: cu voli mu sona poti sonari!” (no, io non suono. Però stanno là, chi vuole suonare può suonare) e da un mangianastri parte una tarantella riggitana che ci fa sentire accolti con tutti gli onori.

Illustri incisori innamorati (di Palizzi)

Sonáti ‘nti curvi! (Suonate, tra le curve)

Lo sterro, le "crape", il paese fantasma

Il vecchio sentiero tra Palizzi e Bova è panoramico. Dopo un tratto iniziale lastricato a cemento, sale in quota dominando le vallate sottostanti, il cui fondo è nascosto dall’ombra del tardo pomeriggio. L’azzurro del Mar Jonio si perde in quello del cielo in un orizzonte indefinito mentre, dall’altro lato, sullo skyline ondulato spicca il profilo della rocca di Bova. Nulla di nulla, tranne le casupole sparse dei crapari (pastori). Una fontana recintata coperta dagli alberi, una capra che ci guarda perplessa. La strada è ormai un sentiero pietroso adatto ai muli. E alle moto da enduro. La mia Yamaha dà il meglio di sé. Dopo l’ennesima sterrata, un abbozzo di pavimentazione ci porta giù fino al torrente, dal cui fondovalle risaliamo sbucando finalmente sul versante Sud dove, oltre il mare, troviamo la sagoma dell’Etna. Il giorno dopo, percorriamo la mulattiera che, ci assicurano, in una mezzoretta porta al paese fantasma di Africo Vecchio. Ci abbiamo messo più di due ore a percorrere il sentiero, prima sterrato poi sempre più sconnesso fino a diventare pietraia di roccia dura. Facciamo a piedi gli ultimi 500 metri, raggiungendo un paese spettrale e invaso dai rovi, da cui emerge solo l’edificio delle scuole elementari. Gli fa da contraltare, giù in fondo, la chiesa di San Leo. Negli anni ’30 Africo era forse il più isolato e malfamato tra i paesi dell’arretrato Meridione e i suoi abitanti vennero spostati con la forza 20 anni dopo, a seguito di un’alluvione nel 1951. Fatto che ha reso le rovine di Africo un Luogo della Memoria quasi sacro, che visitiamo in punta di piedi…

La radice antica

Memorie dagli anni ‘80

Lasciamo la costa dopo aver costeggiato a lungo la fiumara di Melito che, di colpo, sparisce dalla vista. Ci dirigiamo verso l’interno della montagna, coperta da conifere, castagni e lecci solcati dai numerosi tornanti. Dopo una visita alle cascate del Maesano, da cui nasce l’Amendolea, un temporale agostano trasforma le strade in guado e ci obbliga a ripiegare sulla costa jonica per ritentare l’indomani. Da Ardore saliamo per Ciminá e, poi, sempre dritto per la tappa finale. Nel verde ombroso spunta la Croce di Zervó, piantata in un crocicchio tra i castagni col suo Cristo di legno appena coperto da una piccola tettoia, finito sugli schermi di tutto il mondo quando Angela Casella ci andò a pregare chiedendo solidarietà alle donne calabresi e la liberazione del figlio Cesare, avvenuta a Natale due anni dopo il sequestro a Pavia. Il suo gesto eclatante, lì dove venivano pagati i riscatti e rilasciati i sequestrati, fu decisivo nel porre fine all’industria dei rapimenti. Ma al posto del checkpoint militare, all’ombra di una gigantesca quercia, il banco di un venditore offre formaggi, salumi e miele locali. Un gruppo di scout adolescenti consumano lì il loro pranzo al sacco mentre io scambio due chiacchiere col venditore che, abbozzando un sorriso, mi chiede da dove veniamo e perché siamo lì, con una scintilla di curiosità negli occhi quando gli dico il mio cognome (Femìa). Finiamo la giornata a Bagnara, sulla costa tirrenica, dopo aver percorso la strada tortuosa e dissestata che passa da Delianuova con la sterminata Piana di Gioia Tauro sullo sfondo.

Capire l’Aspromonte

Mentre la temperatura aumenta ad ogni tornante, penso a cosa renda speciale questa regione. Visitare la Calabria e ancor più l’Aspromonte non è facile. Bisogna sudarsela: i collegamenti sono pochi, il telefono non prende, le strade sono dissestate o franate. Il non-finito edilizio marca il paesaggio e ogni vallata parla un dialetto diverso. Montagne e valli dove non si incontra nessuno per ore, ma dove si può piantare una tenda con la certezza di essere assolutamente al sicuro. Decidere di andarci vuol dire superare una spessa barriera di luoghi comuni e paure ancestrali. Non è il Trentino o l’Emilia con la loro vocazione turistica collaudata, questa è la periferia della Calabria. Arrivarci e attraversarla è un Viaggio vero e di scoperta, la stessa che si può vivere a migliaia di chilometri dall’Europa. Coi piedi in acqua davanti allo Stretto di Messina e un senso di refrigerio che allevia la calura, mi sorprendo a sentirmi come fossi appena sceso dalle pendici dell’Himalaya. Guardo la Montagna che incombe alle mie spalle. E ho già voglia di ritornarci.

Appunti di viaggio

Ospitalità
B&B Vúa

  • Via San Costantino 23
  • Bova (RC)
  • Tel. 349/737262
Una casa tipica su tre livelli ben restaurata e con vista spettacolare sullo Stretto di Messina, è gestito da Patrizia, esperta di minoranze linguistiche, che non lesina racconti e riflessioni sulla storia dei greci di Calabria. A richiesta visite guidate e trekking.
Prezzo a persona 25 euro.

Ostello della Gioventú Pentedattilo Ventiquattro posti letto in un ostello colorato e ben curato, che dispone di appartamenti ben ristrutturati sparsi per il suggestivo borgo. Ospita i ragazzi dei campi di lavoro organizzati da Libera nei beni confiscati alle malavite.
Prezzo: 30 euro a persona.

Cucina
Trattoria Nizio Paleo, Gallicianó
  • Via Cataforio, 8
  • Condofuri
  • Tel. 346/5325400
Un locale a conduzione familiare che propone esclusivamente piatti della tradizione grecanica con ingredienti prodotti in loco dagli stessi proprietari. Imperdibili i maccarruni cu u sucu d’a crapa (maccheroni al ragú di capra). Dispone di alloggi semplici e puliti immersi nel silenzio campestre di Gallicianó. A richiesta visite guidate e trekking.
Prezzi: 15 euro a persona il pasto, 30 euro la stanza doppia.

L’Aspromonte nella cultura

© RIPRODUZIONE RISERVATA