a cura della redazione - 12 January 2017

Troppo avanti per gli anni 80

Kawasaki KLR e KLX story dagli anni 80 ai giorni nostri. Tutto sulle dual sport di Akashi: pregi, difetti, tecnica, foto, aneddoti. In un mondo di moto da enduro dakariane raffreddate ad aria (Honda XL, Yamaha XT, Suzuki DR), Kawasaki entrò nel mercato delle on-off con un prodotto molto tecnologico, forse in anticipo sui tempi

Poco ispirata?

Negli anni 80, le moto più in voga erano le monocilindriche ispirate dalla Dakar. Come le Honda XL, le Yamaha XT e le Suzuki DR, mentre all’epoca le enduro di Kawasaki non esercitavano lo stesso fascino delle altre tre. Sembravano moto realizzate solo per stare nel mercato, per cavalcare la moda, ma senza ispirazione. Ma, poiché si stava meglio quando si stava peggio, se Kawasaki rimettesse in produzione la KLR600 scenderemmo in strada a ballare la giga dalla contentezza perché, oggi, sarebbe considerata una gran bella dual sport (qui le foto di tutte le versioni).

SPIEGHIAMOCI MEGLIO

la prima nel 1983

La moto venne esposta al Salone di Colonia del 1982, piazzata molto in alto come fascia di mercato, difficile da vedere. Era siglata KLR500, aveva già 564 cc e veniva spacciata come la monocilindrica più potente, veloce e sofisticata. All’epoca il fascino di queste moto africane era la semplicità meccanica: monocilindrici raffreddati ad aria, con testa monoalbero e avviamento a pedale. Già le quattro valvole e il doppio carburatore della Yamaha XT550, così come la sospensione con leveraggio della Honda XL500R, avevano fatto storcere il naso ai puristi ma questa Kawasaki esagerava: testa bialbero e raffreddamento ad acqua, per 50 CV dichiarati e telaio in acciaio con telaietto posteriore scomponibile in alluminio, che costava i 3/2 del telaio stesso. Che senso aveva? Snaturava la categoria e dirottava il sogno africano in una corsa verso le potenze e le raffinatezze tecniche, che andavano bene per le supersportive, non per le enduro on-off. La moto venne riproposta circa un anno dopo in versione definitiva, si chiamava KLR600 ma di fatto era sempre una 564 cc (alesaggio 96 mm, corsa 78 mm). 

A guardarla adesso, era una meraviglia

ORRORE, l'avviamento elettrico!

Nell’autunno del 1984, infatti, uscì la seconda serie della KRL, sostanzialmente identica tranne che per un particolare devastante: l’avviamento elettrico. Era già stato duro mandare giù il raffreddamento ad acqua, ma l’avviamento elettrico era un vero scandalo. Sui monocilindrici era un’eresia! S’era già visto sulla Guzzi Nuovo Falcone 500 del ‘71 e sulle Italjet 350 Touring Enduro dell’83 ma, su una enduro 600 giapponese, era inaccettabile. La moto venne qualificata, dai puristi, come stradale o fighetta. Ma erano prese di posizione assurde. Il gesto dell’avviamento a pedale del grosso monocilindrico era molto coreografico, però le città erano piene di persone che acquistavano questi pomponi da 600 cc non per farci viaggi o fuoristrada, ma solo per moda. Le usavano come scooter, per i tragitti urbani e impazzivano ogni volta che dovevano avviarle a pedale. Se si voleva continuare a venderle, queste enduro andavano “elettrificate”. In seguito anche gli enduristi più duri e più puri hanno capito che l’avviamento elettrico, in mulattiera, ti allunga la vita. Ma, in quell’autunno 1984, la KLR veniva vista soprattutto come l’interpretazione enduristica di una Casa che aveva vocazione solo per le potentissime supersportive da strada. Basti pensare che, se già 147 kg apparivano eccessivi, la ES sfiorava i 157! Nel 1985, Motociclismo pubblicò un interessante articolo di colore dove un gruppo di redattori andava a farsi un giro in montagna con un mix di moto che non avevano nulla a che fare le une con le altre. Tipo la Kawasaki KLR600ES o la BMW K 100 RS. L’idea era quella di lasciar perdere le prestazioni e i rilevamenti strumentali, ma di far parlare solo la "pancia". Il giro era tutto asfaltato e comprendeva sia l’autostrada, sia i passi dolomitici. La KLR600 fece un figurone: piaceva a tutti, era molto piacevole da guidare e, nel misto, teneva il passo delle maxi. 

SEMPRE PEGGIO

KLR570: quela agile

KLX: QUELLa sportiva

Ma poi, nel 1993, arrivarono le due KLX650, ovvero la versione turistica e quella corsaiola di una moto che utilizzava il 651 cc ma gli metteva intorno un più moderno telaio perimetrale. La versione turistica pesava, sulla nostra bilancia, 162 kg, quindi qualcosa in più della Tengai, pur essendo priva di cupolino e avendo un serbatoio da 12 litri. La ciclistica era migliore: oltre al telaio perimetrale qui c’era la forcella Kayaba rovesciata da 43 mm al posto della tradizionale da 38, mentre il motore sfiorava i 42 CV alla ruota. Era una bella moto, assai pratica per tanti utilizzi, ma venne messa in ombra dalla versione corsaiola. All’epoca non c’erano ancora le 450 racing da 48 CV alla ruota o le KTM 690 da oltre 60 CV alla ruota: i 44 della KLX650R erano quasi da record, oltretutto erogati profondamente dai bassi e accompagnati a un peso reale di appena 134 kg. Sospensioni sui 300 mm di corsa, cerchi 21”18”, avviamento solo a pedale, serbatoio da appena 8 litri: era una moto da enduro cattivo, più potente e raffinata rispetto alle Honda XR e Yamaha TT ma meno agile e leggera delle Husqvarna TE e KTM LC4: la sua destinazione ideale, finalmente, è stata la Dakar, come mezzo ideale per i privati. Guido Maletti e Aldo Winkler la usarono con successo, Maletti addirittura finendo al sesto posto assoluto, nel '96.

TORNA LA KLR

LE PICCOLINE

Le KLR/KLX hanno avuto delle sorelline, eredi della KL250. La KLR250 del 1985 era una piccola fotocopia della 600, ma le più interessanti erano le KLX, specie la 300 di fine anni 90, leggerissima e versatile, adatta all'enduro impegnativo ma robusta e duratura. Oggi in Italia è ancora disponibile la KLX250, in versione meno potente ed economica, ottima come dual sport per chi vuole una moto facile, robusta e poco costosa.

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