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Ammortizzatore di sterzo integrato nel cannotto

Ammortizzatore di sterzo moto: cos’è e come funziona. Scopriamo l’ultima novità, il sistema integrato nel cannotto. Oggetto della tesi di Laurea dell’ing. Cosimo Monti nel 2012 presso l’Università degli Studi di Firenze, sfrutta le potenzialità dei fluidi magneto-reologici. I dettagli di un brevetto italiano

tanta potenza e ciclistiche sempre più estreme: occhio al manubrio!

È uno dei componenti chiave per la cosiddetta sicurezza attiva, parliamo dell’ammortizzatore di sterzo. L’utilità di “indurire” lo sterzo in particolari situazioni era già chiara agli albori del motociclismo, quando esistevano quei manopoloni sulla testa del cannotto (i “frenasterzo”), per dare il classico mezzo giro quando aumentava la velocità e si desiderava avere meno reazioni brusche. Ma i veri ammortizzatori sono comparsi per coniugare stabilità e maneggevolezza solo quando le supersportive hanno iniziato ad avere tanta potenza e ciclistiche sempre più estreme.
Guardate la foto a destra: siamo a Laguna Seca, per la comparativa maxi sportive 2006. Un tester di Motociclismo in sella ad una Buell 1125R affronta il "Cavatappi" e rischia il disarcionamento. Al cambio di direzione e pendenza, l'avantreno si alleggerisce e, quando la ruota tocca di nuovo terra, tende a chiudere. L'ammortizzatore di sterzo riduce rischi come questo.
 
Il mercato oggi offre solo sistemi esterni (ammortizzatori lineari  o rotativi: vedi capitolo dedicato di seguito), anche se spesso profondamente integrati grazie a una loro gestione elettronica. Quello che andiamo a illustrare ora è invece una vera novità, oggetto della tesi di Laurea dell’ing. Cosimo Monti nel 2012 presso l’Università degli Studi di Firenze e che è oggi un brevetto internazionale. Sono due gli elementi chiave di questo sistema: il primo è che si tratta di un ammortizzatore integrato all’interno del cannotto di sterzo; il secondo è che sfrutta le potenzialità dei fluidi magneto-reologici. A raccontarci tutto di come è fatto e come funziona sono stati Marco Pierini e Niccolò Baldanzini, professori associati e docenti di costruzione di macchine presso la facoltà di Ingegneria e inventori di questo ammortizzatore insieme a Alessandro Giorgetti, Simone Piantini e, ovviamente, a Cosimo Monti.

I fluidi magneto-reologici (MR)

Per comprendere quali vantaggi possa avere un ammortizzatore del genere occorre capirne il funzionamento. I fluidi magneto-reologici hanno la caratteristica di avere al loro interno delle particelle metalliche (ferrose) che, sotto l’effetto di un campo magnetico, si dispongono in direzione di quest’ultimo formando delle sorte di catene. La resistenza del fluido a scorrere attraverso delle superfici viene quindi influenzata da queste catene e, ovviamente, al crescere dell’intensità del campo magnetico, cresce la resistenza di queste catene. 

L’ammortizzatore di sterzo MR

Se osserviamo la sezione del nuovo ammortizzatore di sterzo (immagine qui a destra) scopriamo quali sono le aree interessate da questo passaggio di fluido. Sulla parte esterna, quella solidale al cannotto di sterzo, vengono posizionate una di fronte all’altra due barre metalliche sulle quali è stato realizzato un avvolgimento di filo di rame: facendo passare corrente nell’avvolgimento si genera il campo magnetico. Sull’asse di sterzo, invece, sono state saldate altre due barre metalliche che verranno attraversate dal campo magnetico. Così facendo, il campo generato ha direzione radiale e quindi le “catene” avranno questo orientamento, che è ortogonale alla direzione di movimento del fluido quando si ruota l’asse di sterzo all’interno del cannotto. Le aree di passaggio del fluido sono quelle sottili che si vedono tra le placche fissate all’asse e la superficie del cannotto, ma anche quelle più interne tra l’asse stesso e le placche dotate di avvolgimenti. Questa architettura consente di poter ruotare lo sterzo di 45° a destra e altrettanti a sinistra (oltre non si va perché le alette fisse sull’asse di sterzo toccherebbero quelle fisse con gli avvolgimenti). Si tratta comunque di un valore più che sufficiente per la maggior parte dei mezzi, se pensiamo che uno scooter supera di poco i 40° e le moto spesso si fermano prima di questo valore.

Sbacchettata smorzata in 150 millesimi di secondo

Quando sterziamo, il fluido deve attraversare queste sottili fenditure (che sono di circa 0,5 mm) e incontra la resistenza data dalla sua viscosità. Questo se avessimo all’interno dell’olio classico, mentre con i fluidi MR la situazione è un po’ diversa. Se non sono attraversati da corrente la loro resistenza è molto molto limitata (come un olio dalla ridottissima viscosità), ma se aumenta l'amperaggio agli avvolgimenti, il campo magnetico che si genera porta a una repentina crescita della resistenza offerta dal fluido nel passaggio attraverso queste aree. I tempi di attivazione sono dell’ordine del millisecondo per leggere la velocità e l’accelerazione angolare dello sterzo (in pratica è la rapidità della sbacchettata), pochi altri millisecondi per elaborare questa informazione, decidere l’intensità di corrente da erogare e fornirla agli avvolgimenti, e circa un decimo di secondo perché il fluido reagisca al campo magnetico generato. In sostanza dalla sbacchettata all’azione dell’ammortizzatore passano circa 1,5 decimi. Il vantaggio del sistema MR è duplice: da un lato si riesce ad avere uno sterzo pressoché libero nella guida normale, dall’altro si possono ottenere effetti anche importanti in poche frazioni di secondo. Coniugare questi due aspetti con un ammortizzatore tradizionale sarebbe impossibile.

Dall’università al mercato

Non stiamo parlando tuttavia di un sistema on/off, dove lo sterzo si indurisce di colpo. Le prove strumentali sono state eseguite con valori di intensità di 1A e 2A. Partendo da zero Ampere, a ogni salto di corrente fornita corrisponde un netto balzo della coppia resistente generata dall’ammortizzatore. Se decidessimo di fornire in un istante da zero a 2A, avremmo un valore di coppia che indurisce lo sterzo di 10 volte (da 6 a 60 Nm circa) nell’arco di 1,5 decimi di secondo. L’andamento della coppia (Nm) resistente è anche funzione della velocità con cui sta ruotando lo sterzo e aumenta in modo abbastanza lineare al crescere di quest’ultima. La gestione elettronica del sistema, da sviluppare in futuro, porterà a delle logiche di funzionamento con rampe di fornitura della corrente che varieranno in continuo da zero a 2 Ampere, in modo da avere reazioni sempre calibrate all’azione dello sterzo in quel dato momento. Il progetto -per ora- si ferma qui, perché l’implementazione di questo sistema su un veicolo è una fase dello sviluppo che compete a chi eventualmente volesse acquistare il brevetto per integrarlo con i propri mezzi. Ma, considerati i possibili vantaggi anche in termini economici del sistema, non ci stupiremmo di vederlo presto su moto di serie.

GLI ALTRI SISTEMI: LINEARI O ROTATIVI

Oggi, sul mercato, esistono diversi tipi di ammortizzatore di sterzo. Il primo a comparire è l’ammortizzatore lineare, montato sia dal telaio a uno dei foderi della forcella, sia trasversalmente dietro la piastra superiore di sterzo. Quello della Kawasaki H2R integra un sofisticato sistema di gestione elettronica per una regolazione fine e puntuale delle tarature a seconda dei parametri letti dalla centralina (velocità della moto, velocità di rotazione dello sterzo, ecc).
Ci sono i modelli rotativi, che hanno il vantaggio della compattezza ma che, come i lineari, restano legati alla viscosità dell’olio che viene scelto. Hanno ovviamente molte regolazioni per poterli tarare sulle varie necessità e sono quelli che vediamo spesso sulle moto da rally, dove le velocità sono elevate e il rischio di una sbacchettata violenta è maggiore. Honda, sulla CBR1000RR “pre 2017” ha unito la tecnologia rotativa a una gestione elettronica dello stesso con l’HESD (Honda Electronic Steering Dumper), il primo ammortizzatore di sterzo a gestione elettronica, che offre la possibilità di modificare le tarature a piacere e con estrema rapidità.

UNIVERSITÀ DI FIRENZE: LA SICUREZZA IN PRIMO PIANO

Il reparto di Ricerca Veicoli dell’Università degli Studi di Firenze si è focalizzato, dal 2002, sulle due ruote a motore e vanta collaborazioni con moltissime Case motociclistiche, tra cui Piaggio, Beta, Ducati e Yamaha. Il tema centrale è la sicurezza: il primo progetto è stato un chest protector (un paracolpi per il petto) per Dainese, seguito da una collaborazione allo sviluppo della norma europea per la sicurezza dei guard rail. Qui è nato il progetto di fari adattativi per le moto, (con doppia funzione di beccheggio e shift, brevetto venduto dall’Università alla Piaggio diversi anni fa). Si è lavorato anche sugli air-bag per moto e per i piloti e (insieme a Dainese) su un’inedita mentoniera con zone a deformazione controllata. Dal 2006, si sta lavorando sul MAEB (Motorcycle Autonomous Emergency Braking) che sfrutta il radar e lo scanner per riconoscere gli ostacoli. Questo sistema interviene solo quando l’impatto è inevitabile, riducendo la velocità e non si attiva in maniera preventiva. Per saperne di più sui tanti progetti e studi: www.mooving.unifi.it, mentre per informazioni sul brevetto dell’ammortizzatore di sterzo MR i riferimenti sono quelli dell’Università (tel. 055-2751920 oppure inviare una mail a brevetti@csavri.unifi.it).
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